
Calcutta (Kolkata), Madras (Chennai), Bombay (Mumbai) e anche la tecnologica Bangalare (Bengaluru) hanno ripreso i nomi originari (dalle lingue locali) sostituendo quelli inglesi proprio, da quando è iniziata la modernizzazione (ultime cinque anni). Forse il segnale che si vuole mantenere una propria identità anche aprendosi al mondo globalizzato.
Sono tutte città in fase si enorme espansione e in cui si sta formando una borghesia cosmopolita simile e più dinamica di quella europea. Quando visitai per la prima volta Calcutta (inizi anni ’80) mi sembrò avvolta da una decadenza insuperabile. I palazzi costruiti dagli inglesi erano erosi dall’umidità del monsone e dall’incuria. Per le strade dormivano migliaia di famiglie e la grande stazione centrale (un monumento di ferro spettacolare) ne ospitava altrettanti. Oggi si parla di privatizzarla e di creare un hub turistico-commerciale (come del resto per tutte le ferrovie e stazioni indiane); le strade principali sono piene di messaggi pubblicitari di banche, compagnie telefoniche ed elettriche, centri commerciali hanno un motivo comune, quello di “stare nel futuro”.
Lo stesso sta accadendo a Mumbai, sicuramente più dinamica, dove anche gli antichi slum descritti in tanti libri come quello di Dharavi (1 milione di abitanti) stanno per essere sostituiti con complessi residenziali.
“According to SRA norms, the slum dweller whose name appear in the voters list as on 01.01.1995 & who is actual occupant of the hutment is eligible for rehabilitation. Each family will be allotted a self contained house of 225 sq.ft. carpet area free of cost. The eligible slum dwellers appearing in Annexure II certified by the Competent Authority will be included in the Rehabilitation scheme. Eligible slum dwellers will be given rehab tenement in Dharavi” www.sra.gov.in/HTMLPages/Dharavi.htm .
L’operazione descritta nel sito è immensa. Nello slum, come altri sparsi nelle grandi città, sono attivi sistemi mafiosi che controllano traffici e comunità, le persone hanno propri ritmi di vita e abitudini, negli slarghi fra le baracche si costruiscono statue, vasi, si riparano macchine vi è un intensa vita sociale. Spostare tutto in casermoni creerà sicuramente tensioni che, nelle intenzioni , sembrano voler essere gestite con il dialogo. L’architetto Mukesh Metha, ideatore del progettone (approvato e discusso con l’autorità comunale), ha più volte dichiarato che niente verrà imposto e il coinvolgimento della comunità è fondamentale in ogni step del progetto.
Ciò non accadde a Nandigram (2007), nei pressi di Calcutta, dove il governo regionale cercò d’imporre una Special Economic Zone (un hub chimico e automobilistico), sul modello cinese. L’intenzione era di creare lavoro a bassa qualificazione (in India manca) per i contadini poveri.
L’idea fu respinta dagli abitanti con scontri durissimi che provocarono 17 morti e centinaia di feriti fra i contadini minacciati di espropriazione. I maoisti Naxaliti parteciparono alla rivolta aumentando la risonanza sulla stampa nazionale a cui seguirono dure critiche e inchieste sulla gestione della crisi da parte dei corpi speciali della polizia. Oggi l’ideatore delle SEZ, il Governatore del West Bengala (West Bengal Chief Minister) Buddhadeb Bhattacharya, finto ascetico, comunista, detto il Buddha Rosso, ha chiesto scusa.
Durante una cerimonia in cui sono stati consegnati i patta (fondamentali diritti di proprietà sulla terra) ai contadini delle comunità ha dichiarato “We have learnt our lesson [from the Nandigram experience] and industries will only be set up where the local people are agreeable,” The Hindu maggio 2008.
In un paese in cui la classe politica (e la relativa amministrazione pubblica) è considerata fra le più corrotte e inefficienti del mondo sono esempi di come il controllo e la pressione della stampa e opinione pubblica è in grado d’esercitare sul potere giudiziario e politico anche in questa fase di liberalizzazione e corsa economica.
Quello che sta accedendo è che il Privato (aziende, giornali, televisioni, gruppi di pressione), come scritto in altro post sui nuovi interventi per la riduzione della povertà delle Corporations indiane, sta esercitando un’influenza positiva, mitigando le tensioni, proponendo percorsi alternativi e concreti di sviluppo, praticando modelli sociali di comportamento, verso il Pubblico.
Il Primo Ministro Manmohan Singh, passato ministro dell’economia, ha aperto l’India al mercato, ha eliminato migliaia di norme che bloccavano lo sviluppo (specie per i piccoli) e rafforzavano l’immensa e vorace burocrazia statale. Ora sta cercando di sfruttare, nei limiti di un sistema politico frammentato e litigioso, il connubio positivo con le idee degli imprenditori più aperti; personaggi apprezzati dall’opinione pubblica. Si discute di aprire ai privati la gestione e ammodernamento del sistema ferroviario (la più grande azienda del paese), degli aereoporti (assolutamente inefficienti) e di altri settori pubblici. Abbiamo visto come in Nepal la Royal Nepal Airline (stile la nostra Alitalia) aveva, nel 1989, un bilancio positivo per oltre 17 milioni di dollari quando era gestita come un azienda privata. Dal 1990 i partiti sono entrati nella sua gestione e, oggi, non ha un solo aereo funzionante e da sei mesi non vola. Le perdite sono incalcolabili come sprechi e scandali.
Questo per dire che, forse, è possibile inserire gli elementi postivi del capitalismo e della gestione aziendale (etica, professionalità, competenze, attenzione agli sprechi, etc.) anche nel pubblico e nelle politiche di sviluppo, accogliendo principi di partecipazione, trasparenza e condivisione con i beneficiari (stakeholders).
Forse l’India non è più solo il deposito di miti pacifici e antichi ma nel suo millenario rimescolamento, assorbimento e elaborazione di idee sta creando nuove filosofie e pratiche che possono modellare, in meglio, il nuovo ordine economico mondiale in formazione.
Malgrado l’aumento dei costi e dei prezzi nessuno vuole fermarsi e il 50% dei CEO delle principali aziende indiane assicurano che non vi saranno diminuzioni nella produzione (e, dunque nello sviluppo). L’Asian Development Bank segnala che, pur calando, i ritmi di crescita in India saranno intorno all’8%. Dunque permane l’ottimismo.
Per questo alcuni studiosi, quali il nuovo iperattivo e onnisciente Guru Dominique Moisi, scrive the United States and Europe are divided by a common culture of fear. On both sides, one encounters, in varying degrees, a fear of the other, a fear of the future, and a fundamental anxiety about the loss of identity in an increasingly complex world….and much of Asia displays a culture of hope” nel suo linro The Geopolitics of Emotion: How Cultures of Fear, Humiliation, and Hope Are Reshaping the World
Del resto il passato ritorna “With the fall of Rome, Europe entered the Dark Ages, and Asia became the center of world trade, culture, religion, and urban development, scrive in When Asia Was the World, Stewart Gordon. The caravans that kept the different parts of Asia connected were huge enterprises of over 1,000 people and 3,000 animals. The main capital cities — Baghdad, Beijing, and Delhi — were larger and more impressive than any city in Europe at the time.
Non cambia, però, la tendenza la riarmo quando l’economia si espande. I nuovi imperi, per l’autorevole Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), sono i maggiori importatori d’armi: la Cina assorbe il 12% e l’India l8% della produzione mondiale. Chi esporta, per l’80%, sono i grandi moralizzatori occidentali: USA, Russia, Germania, Francia e UK.
Continuano, con qualche insuccesso, i lanci di missili dalla base Shriharikota presso Chennai. Già sede di lancio di satelliti per Israele, Germania, Canada.