L’Asia del boom economico (e forse proprio per questo) sta attraversando, in questi, giorni, innumerevoli tensioni; dalla Thailandia, India, Pakistan cresce l’instabilità. Diamo un occhiata.
Con un po’ d’imbarazzo, la Thailandia ha chiesto di rimandare il vertice dell’ASEAN, l’organizzazione politico ed economica dell’Asia sud-orientale, creata nel 1967 e che raggruppa Brunei, Burma, Cambodia, Indonesia, Laos, Malaysia, Philippines, Singapore, Thailand e Vietnam.
La stabilità politica, a parte qualche colpo di stato incruento, che attirava investimenti stranieri e poneva Bangkok come esempio fra i paesi dell’Alleanza non esiste più dopo le lunghe proteste di questi ultimi mesi.
“It shows how neighbours are perceiving us as a country out of control. Our reputation for economic, political and social stability has been lost” dichiara con gli occhi tristi un amico professore della Chulalongkorn University della capitale. Insomma, la Thailandia sta perdendo la faccia, una degli eventi peggiori per stati e individui in Oriente.
In questa situazione politica, il Governo thailandese non è in grado di firmare accordi né di porsi, come un tempo, esempio e traino dei più piccoli e\o più poveri paesi dell’allenza. L’esempio è nello stallo delle trattative per il tempio di Preha Vihar con la Cambogia. Il Viet-nam stabile e in crescita è sempre stato l’antagonista economico e politico nella regione e si sta ponendo come paese-guida all’interno del gruppo, specie verso Cambogia e Laos in cui crescono investimenti e relazioni.
Il Professore non è molto tenero con il PAD (Peoples Alliance for Democracy) e introduce alcuni elementi differenti da quelli che siamo abituati a leggere sulla stampa internazionale.
Il PAD non è un movimento democratico, dice, richiede l’intervento dei militari per togliere un governo, pur criticabile, ma eletto democraticamente nel dicembre scorso, rappresenta la classe media della capitale di tendenza monarchica, ignora la maggioranza del paese, specie i poveri delle campagne, che ha votato per i sei partiti che formano l’attuale governo, richiede un parlamento al 70% nominato e non eletto.
Continua raccontando dell’incredibile e costosa organizzazione delle manifestazioni, dell’appoggio dell’esercito e delle monarchia e dell’abilissimo marketing del PAD.
Intanto, dopo aver abbandonato l’assedio alla Casa del Governo e bloccati gli aereoporti Chamlong (uno dei leader PAD) said the Government House was no longer secure as it risked being attacked by pro-government supporters.
Intanto 240.000 turisti sono in attesa di ripartire, dal nuovo aereoporto di Suvarnabhumi e da quello di Don Mueng.
Oggi la Suprema Corte thailandese ha sciolto i partiti che formavano il governo per frode elettorale, fra cui il People Power Party del Primo Ministro Somchai Wongsawat. Situazione stravagante, il Primo Ministro non ha ufficio, non si fida dei servizi di sicurezza e non torna nella capitale da Chang Mai, dove si è rifugiato. Di fatto il Governo è caduto ma, scrive, giustamente, il Nation di oggi The end of the Somchai Cabinet will not end the political crisis. His red-shirted supporters (i militanti pro-governativi vestiti di rosso e accusati di aver lanciato granate sugli attivisti del PAD) have vowed to fight with all means, rejecting a court process they regard as unjust. The country may enter a more violent state. A general election with the Thaksin crowd taking another bought victory will surely lead to chaos, especially if there remains the attempt to rewrite the Constitution to help the convict ex-PM.
Anche in Pakistan non c’è pace. Un po’ dimenticato dalla stampa internazionale (a parte per la questione Afghana), continuano attentati e scontri. Ieri a Karachi (fra le città più incrontrollabili) almeno 9 persone sono state uccise e 70 ferite in una giornata di guerriglia urbana fra membri del partito di governo Muttahida Qaumi Movement (MQM) e Pashtun nationalist Awami National Party. Il primo rappresenta i “mohajir“, migranti dall’India ai tempi della Partizione (1947), il secondo i nuovi migranti Pashtun scappati dalle zone di frontiera in cerca di lavoro a Karachi.
In Bangladesh si stanno preparando con qualche difficoltà le elezioni generali, dopo anni di governo tecnico provvisorio (interessante e lungo articolo). Il Nepal lo conosciamo e visto che il governo niente ha fatto per iniziare a risolvere qualche problema, sta finendo l’Honeymoon (i primi 100 giorni).
L’India, invece, reagisce all’attacco terroristico di Mumbai con la simbolica riapertura del Leopold’s Cafè, uno dei primi bersagli dell’attacco (8 morti fra i suoi avventori e due dello staff); terroristi che entrano sparando a raffica fra i tavoli, racconta il proprietario. Con 137 anni di storia, visitato obbligatoriamente dai turisti e descritto dal librone sulla freakstory di Gregory David Roberts (Shantaram) è un luogo cult di Mumbai e la sua riapertura un segnale di forza.
The first customer, Saleem Sharifally, 39, ordered a pint of beer for himself and a Coke for his six-year-old son Ali, and said Leopold’s reopening was a sign “Bombay is getting back to normal“. Scrive il Times of India. Aggiunge un amico indiano da Mumbai The Lashkar-e-Taiba or Al Qaeda may have incorporated them (i giovani estremisti islamici), but it is our societies, both in Pakistan and in India, that denied them any other avenue. How do we now work to open up the spaces for dialogue and interaction with our minority and marginalised groups – that to my understanding, is the real challenge we face