È un tipino inglese che sembrava fuori posto in Nepal. Un po’ affettato parlava, ovviamente, un inglese oxfordiano e, dunque, non lo capiva nessuno. Però ha marciato in lungo e in largo nei villaggi, dormito in catapecchie senz’acqua, parlato (a volte a gesti) con centinaia di persone. La sua piccola ONG inglese ha lavorato durante il conflitto e ha portato aiuto, progetti ancor oggi esistenti e funzionanti nel campo educativo, grazie alla cooperazione e partecipazione che seppe creare con le comunità. Lui, come altri, rientra nelle bestpractices che pur esistono nel mondo della cooperazione e che, dovrebbero essere la norma: la piccola 12 Dicembre in Italia, Karuna Bhawan, CCS Nepal e Little Flower Society in Nepal, i missionari di Shianoukville e Kampot in Cambogia, i medici del CUAMM in Mozambico e di Medici senza Frontiere in Nepal o di Emergency sempre in Cambogia. Almeno quelle con cui ho collaborato o conosciuto.
Max mi ricorda, con la sua mentalità anglosassonebuddhista, che criticare è giusto e necessario se indirizzato a smuovere e a favorire la presa di coscienza degli errori e il loro miglioramento.
Sorrido; lui stesso mi ha raccontato che alle critiche mosse sull’utilizzo dei fondi dagli operatori locali di una ONG nepalese, i finanziatori italiani hanno risposto tagliandogli i fondi e minacciando (e operando licenziamenti). Addirittura la ONG nepalese pensa di fare causa alla INGO italiana (CCS Italia, Centro Cooperazione Sviluppo) per il non rispetto degli accordi sottoscritti e il danno arrecato ai bambini beneficiari.
Del resto anch’io ho ricevuto segnalazioni di come questa organizzazione Centro Cooperazione Sviluppo (CCS Italia) ONLUS, malgrado una certificazione di facciata, non abbia rispettato il Codice Etico delle associazioni che aderiscono al Forum SAD (Sostegno a Distanza) di cui, fra l’altro è stata promotrice, che impegna le associazioni aderenti a mantenere entro il 20% le spese di struttura (speso il 55% secondo il loro ultimo bilancio).
Questi discorsi sono particolarmente attuali nel periodo natalizio quando le ONLUSNGO s’agitano per aumentare le entrate. In teoria il cosiddetto lavoro di fund raising per raccogliere fondi e donatori per i progetti dovrebbe essere un attività costante delle ONLUSNGO perché presupporrebbe un rapporto solido fra organizzazione e donatore basato sulla conoscenza dei progetti, degli scopi, delle realtà in cui la stessa opera. Volontari e operatori dovrebbero incontrare i potenziali donatori per spiegargli le realtà dei paesi e il lavoro svolto e, per questo, a me piacciono i banchetti e le attività dei gruppi locali; cioè chi opera non solo a Natale ma tutto l’anno per diffondere il suo lavoro.
Altrettanto bello è vedere le ONG che regalano o vendono prodotti fabbricati nei paesi in cui operano piuttosto che cianfrusaglie confezionate in Italia.
Risulta triste chi si getta nel telemarketing, mailing (lettere con qualche testimonial magari formalmente autorevole ma estraneo all’attività dell’Associazione), o addirittura viaggi premio.
Max mi racconta che in Inghilterra, i donatori non esauriscono il loro impegno con il versamento ma sono costantemente attenti all’utilizzo dei fondi, alle attività; insomma sono dei rompicoglioni positivi verso gli enti che finanziano.
Anche le attività di raccolta fondi delle ONLUS/INGO sono uno strumento per valutare la serietà ed eticità delle stesse. Tanto più che i costi del marketing sono lievitati vertiginosamente fino a rappresentare in qualche caso quasi un quinto del bilancio delle associazioni, suggerisce Giulio Marcon, autore di “Le ambiguità degli aiuti umanitari (Feltrinelli, ma purtroppo esaurito).
Non è facile districarsi in un bilancio di una ONLUS che opera nella cooperazione internazionale poiché, in assenza di leggi e norme precise, molte spese (fundraising, consulenze, costi del personale, costi di struttura, missioni) possono essere incluse nei costi dei progetti a favore dei beneficiarie e ridurre così i costi di struttura della sede italiana. E fare bella figura.
In Gran Bretagna e Francia la rendicontazione dei singoli progetti è obbligatoria, in Italia no: eppure questo è un modo per garantire ai donatori che i soldi devoluti a una finalità non siano poi stornati verso altre missioni o altri scopi.
Anche nel caso del 5 per mille, da cui le Ong hanno tratto nel 2006 quasi 193 milioni di euro, le autorità pubbliche non hanno imposto l’obbligo di fornire riscontri ai cittadini. «Diciamo che i controlli non piacciono a nessuno. Anche le Ong fanno resistenza» osserva Marcon. Nelle ONG/ONLUS non si è ancora arrivati (o almeno non è noto) ai livelli delle NU o dell’UNICEF tedesco in cui giravano contratti di consulenza per USD 300.000, lavori di ristrutturazioni pagati e non documentati, etc.
Dal lato opposto la serietà dimostrata da Medici Senza Frontiere che, nel 2005, richiese di fermare le donazioni quando raggiunse la somma utile alle sue operazioni di soccorso durante lo Tsunami.
Dall’Inghilterra, mi dice l’amico Max, arriva aria di crisi. Le multinazionali dell’assistenza (Oxfam, Save The Children e World Vision in tutto circa USD 2 miliardi annui) prevedono riduzioni delle entrate intorno al 10-15%. Si spera che la crisi, come per famiglie, nazioni, aziende, porti, anche per l’industria dell’assistenza, a una critica e revisione della qualità delle spese. Speriamo che l’aiuto allo sviluppo inteso come trainings, reports, workshops, versamenti agli enti statali invece che alle comunità sia rivisto per attività più dirette nelle comunità e coinvolgenti anche i beneficiari (anche dal punto di vista economico).
Ma è Natale e quasi tutti sparano i loro messaggi più toccanti magari suggeriti dall’esercito dei consulenti di fundraising cresciuti come funghi sul tortone crescente dell’industria dell’assistenza.
E’ curioso notare come, anche in questo settore, esista una certa distanza fra forma e sostanza (fa anche rima). Uno di questi consulenti (che a me sanno tanto di ex-statali o sindacalisti pentiti), pubblica sul suo sito un potente messaggio “Workers are not tools” ma non si vergogna di consultare una ONG che ha licenziato, senza preavviso, indennità o altro, 20 insegnati e diverso personale locale in Nepal, insinua con un sorriso oxfordiano il serafico Max.
La serata si trascina su questi discorsi e, fra una birra e l’altra, andiamo a vedere un po’ di bilanci (del 2007) di ONGONLUS sul web, per vedere quanto dichiarano formalmente di spendere per attività di sensibilizzazione (marketing). Le ONLUS scelte sono abbastanza omogenee poiché in tutte predomina il sostegno a distanza come principale fonte di finanziamento.
In generale, segnala la Società Un-guru (specializzata ma benevola nella valutazione dei bilanci ONLUS) la competitività crescente ” ha portato a un maggiore investimento nella raccolta fondi” nell’ultimo anno.
AIBI incidenza di costi di promozione sul totale dei fondi raccolti 9,3% (€ 790.000)
AIFO 12, 4% (€ 780.000)
Aiutare i Bambini (18,1%, € 700.000)
Amref 8,6% (€ 570.000)
CCS Italia 15% (473.000)
Save The Children Italia 18%
Action Aid Italia 13,34
Intervita 5,12% (793.000)
Altro discorso è sui risultati di questi investimenti, quello che abbiamo visto noi non è brillantissimo (post)
enrico, mi spieghi una cosa per favore? perchè molte persone che conosco quando sentono parlare di onlus indistentamente stoncono il naso? perchè mi dicono tutti che alla fine sono meglio le organizzazioni profit? pensi che sia sempre così? e se qualcuno pensa di voler fare qualcosa per gli altri senza considerare la remunerazione, dove pensi che sia meglio indirizzarsi? debbo considerare realmente la situazione cos’ tragica oppure no?
Penso che le ONLUS\ONG rispecchino il mondo in cui viviamo in cui vi è grande forma e superficialità e poco commitment (una parola inglese che mi piace e si può tradurre con “forte impegno”). Poichè tutto è sempre fatto dalle persone anche nel mondo delle NGO ce ne sono che lavorano con impegno e non per sbarcare il lunario o perchè non trovano lavoro in Italia. Nel posts ho citato esempi di organizzazioni e persone che ho conosciuto personalmente ed altre, sicuramente, esisteranno (spero).
Ma loro sono gli intermediari fra chi dona (denaro o tempo) e beneficiari. La donazione è la cosa più semplice e non sempre la più utile (se non per se stessi); più importante sarebbe conoscere, partecipare, controllare, pressare e criticare (se necessario) gli intermediari della donazione. Nell’interesse dei bambini o delle comunità a cui si vuole dare opportunità.
Quindi in sostanza credi che siano più “opportune” le NGO? non te lo chiedo perchè voglio cercare per forza una generalizzazione! quanto della tua esperienza diretta contribuisce a formulare una possibile risposta? mi interessa molto.
Fino a che non ci sei dentro è difficile avere un quadro chiaro.
Volevo chiarire, anche a beneficio, di altri lettori, le sigle usate per identificare le organizzazioni che fanno cooperazione internazionale (con o senza volontari). Forse sono stato poco chiaro e ho mischiato le sigle. In Italia esistono ONLUS che sono associazioni senza fine di lucro che possono lavorare sia in Italia (assistenza negli ospedali, agli anziani, etc.) che all’estero. Il governo italiano, poi riconosce le ONG (Organizzazioni non Governative o NGO non-governmental organization o INGO International non-governmental organization, quando operano nel paese estero) che hanno così diritto ai fondi pubblici della cooperazione allo sviluppo o dell’UE. Queste possono essere anche ONLUS. Entrambe le categorie hanno diritto a chiedere il 5 per mille e a rivolgersi alla donazione privata (che usufruisce di sgravi fiscali sulle donazioni).
grazie enrico, la differenza mi era nota ma volevo cortesemente un tuo punto di vista
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incredibile!
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Buongiorno Enrico,
non ci conosciamo. Sono tra quei blogger che parlano, consapevolmente e con orgoglio di marketing e fundraising e quindi probabilmente appartengo a una categoria che non ami (da quel poco che leggo).
Poco male. Oggi mi hanno segnalato il tuo blog (scusami, non lo conoscevo)e devo dire che mi ha fatto una buona impressione. Blog come il tuo servono e ce ne vorrebbero sempre di più perché il nostro settore ha bisogno di migliorare in trasparenza, competenza, impatto sul territorio e le critiche anche negative sono necessarie.
Purtroppo non ho avuto molto tempo per leggere tutto quello che hai scritto. Cmq alla prima impressione ovviamente su molte cose non solo non mi trovo d’accordo e mi sembra si faccia a volte un po’ di confusione. Ma su molte altre mi trovo perfettamente d’accordo e spero che tu continuerai con rigore a indagarle. Per quanto mi riguarda, nei prossimi giorni cercherò di intervenire su qualcuno dei temi proposti. Per ora mi limito solo a segnalare che la mia organizzazione, Terre des hommes, pur usando strumenti di marketing spende solo intorno al 2% dei fondi in comunicazione e raccolta fondi. Percentuale che ritengo bassa, ma con la quale comunque si riescono a fare cose egregie… Senza caricare questi costi surrettizziamente sui progetti!
A presto
Ciao Paolo
ti ringrazio per l’attenzione. A dire la verità non ho niente contro chi parla di marketing o fundraising anche se ritengo il settore, sempre generalizzando (il che non è bello) un pò approssimativo e autoreferente. Lo stesso riguarda le ONG, almeno quelle con cui ho avuto esperienze dirette. Con TDH le ho avute da lontano e non mi esprimo. In generale, il problema, comunque, non è solo come vengono rappresentate le spese nei bilanci, ma quanto resta ai beneficiari (di opportunità e vantaggi). Poichè in Italia non è obbligatorio pubblicare i rendiconti dei singoli progetti e i dettagli delle spese, l’unica speranza di un controllo è affidata ai donatori. Ciò può avvenire se sono coinvolti e resi partecipi dall’ONP e, quindi, campagne pubblicitarie superficiali non mi sembrano lo strumento più adatto.
Per il resto mi piace confrontarmi.
Ciao Enrico
però il gentile Paolo Ferrara dovrebbe aggiungere che, per precisione, la Fondazione Terre des Hommes (Svizzera) spende il 10% per spese di marketing. Il che comunque è una cifra congrua. Però, anche Terre des Hommes Italia, come tutte le ONG non dichiara quanto dei soldi inviati nei paesi è utilizzato per pagare funzionari, spese di struttura, spese amministrative, etc. Sarebbe un bell’esempio se dichiaressero quanto arriva realmente ai beneficiari.