Ai margini del Nepal, nella Gorkhaland (lo stato indiano del West Bengala) e nel turbolento Bihar c’è movimento.
Nella regione del Dooars sono riprese le proteste del Gorkha Janamukti Morcha (GJM), uno dei gruppi politico-militari che chiede uno stato autonomo per gli indiani d’origine nepalese. I giornali raccontano che un gruppo di locali contrari al GJM ha attaccato con frecce, lance e bastoni gli attivisti del GJM, 100 case distrutte, prima dell’intervento dell’esercito. Un centinaio di donne arrestate a Siliguri durante gli scioperi degli autonomisti.
Abbiamo raccontato la storia della Gorkhaland, parte di quello che era un tempo il Grande Nepal. A metà giugno l’intera regione di Darjeeling, Kalimpong, Bagdogra, Siliguri (colline e piane intorno al fiume Tista) ai confini nord-orientali del Nepal (nord Bengala), è stata bloccata dagli attivisti del Gorkha Yanamukti Morcha, il movimento che rappresenta la maggioranza nepalese nell’area. Anche allora scontri con la minoranza bengalese (Jana Chetana) che non vuole lo stato autonomo.
Qui i nepalesi vivono da centinaia di anni e sono maggioranza. Parlano un nepalese più morbido e allungato di quello originario e da portatori, soldati e lavoranti nelle piantagioni hanno raggiunto un relativo benessere grazie al commercio con la madrepatria. Lepcha e tibetani sono altre piccole minoranze con un unico antogonista: i bengalesi che controllano politica ed economia.
I nepalesi di Darjeeling hanno sempre mantenuto rapporti, politici, economici e culturali, con Kathmandu. Arrivavano nella capitale nei mesi estivi un po’ altezzosi verso i cugini originari. Disponevano di più opportunità (educazione), denaro e anche di costumi più liberi (specie le ragazze si raccontava) rispetto al Nepal di qualche anno fa.
Il posto è bello: una lunga strada s’arrotola fra le colline e congiunge la pianura, Siliguri, alle città arrampicate di Darjeeling, Kalimpong e Gangtok, la capitale del Sikkim. Il fiume Tista ha aperto la strada che sale quasi a raggiungere l’immensa montagna del Kanchenjunga, il Protettore.
Queste terre appartenevano al Grande Nepal prima degli accordi con l’Impero anglo-indiano nel 1860 e da queste parti si firmo il trattato di Sigauli che fissò gli attuali confini del Nepal. Fra le varie clausole anche l’impegno del Regno himalayano a fornire un certo numero di soldati mercenari, poi chiamati Gurkha storpiando il nome della cittadina\regno da cui partirono i sovrani Shah unificatori del Nepal. Ciò confermò la fedeltà del Regno himalayano all’Impero britannico già dimostrata durante l’Ammutinamneto del 1856.
Già negli anni ’80 scoppiò una violenta protesta autonomista, schiacciata dall’esercito. Oggi il movimento è ripreso con vigore riaprendo una spinosa questione per il Governo indiano quella delle minoranze etniche, castali e religiose presenti nei grandi stati dell’Unione che, in molte situazioni, chiedono autonomia. Ogni tanto i separatisti bloccano la National Highway; che, oltre che impedire i rifornimenti verso il Sikkim, dove i locali nepalesi vorrebbero unirsi alla Gorkhaland, sospende le principali attività economiche della regione cioè il commercio di tè e il turismo (in massima parte indiano) che considera, malgrado l’eterna pioggia, Dajeerling una meta di villeggiatura (come già fu per gli inglesi).
Fermato anche il trenino, il Toy Train, risalente alla colonizzazione, che sale a passo d’uomo ripidi tornanti da Siliguri, Kurseong, Ghoom fino a Darjeeling.
Passiamo al Bihar, dove le zone confinanti con il Nepal sono un centro di contrabbando di uomini, merci (addirittura preservativi) e armi. Gli indiani sono preoccupati per il passaggio di armi e terroristi destinati ad alimentare i molti gruppi separatisti, integralisti, estremisti che si muovono nell’India dei contrasti.
Oggi un gruppo di 200 Naxaliti (i maoisti indiani) ha attaccato un contingente di polizia nel villaggio di Mahuliatand uccidendo 10 militari. Armi automatiche nuovissime, perfetta organizzazione militare ha portato a uno dei più sanguinosi attacchi degli ultimi anni.
Siamo in periodo elettorale e tutti si agitano, compresi gli integralisti hindu nella loro violenta battaglia contro i pub e la festa di S. Valentino.
La ripresa delle attività dei maoisti indiani ripropone l’eterna questione delle fonti d’approvvigionamento. C’è chi dice che dietro vi sia la Cina, chi addirittura il Nepal, altri la rete internazionale del terrorismo islamico.
Io escluderei la Cina, che neppure aiutò i maoisti nepalesi strategicamente più utili ma, anzi, fornì armi all’esercito di Re Gyanendra (unici al mondo durante l’anno di stato d’emergenza); escluderei anche il Nepal, almeno a livello ufficiale, poiché sarebbe un rischio troppo grosso ed inutile per il fragile governo di Prachanda. Fra l’altro ieri è stato gambizzato il segretario particolare (Shakti Bahadur Basnet) del Primo Ministro proprio sotto casa. Molte le ipotesi: gruppo terrorista del Terai, vendetta di qualche famigliare di scomparso durante il conflitto o di qualcuno a cui non sono state restituite le proprietà, vendetta privata.
Quindi il Nepal ha problemi più gravi che non aiutare i Naxaliti; può darsi che qualche ex-guerrigliero senza lavoro e senza speranze abbia ingrossato le file dei maoisti indiani. Più probabile che, per vie traverse, magari passanti per i confini bucati del Nepal, arrivino armi dalle reti pakistane-kashmire-afghane.
La storia dei maoisti indiani e il loro nome Naxaliti deriva dalla rivolta di Naxalbari, in Andhra Pradesh del 1967.
Contadini, Dalit (intoccabili) e Adivasi (abitanti delle foreste) sotto la guida dei maoisti occuparono terre e crearono una specie di repubblica comunista che resistette mesi agli attacchi della polizia e delle milizie dei proprietari terrieri. Il movimento, diviso come tante cose in India, si sviluppò in tutta l’area nord orientale dell’India (Bihar, Orissa, Bengala) e, con fasi, alterne portò all’unificazione dei vari gruppi regionali nel Partito Comunista Maoista Indiano -CPI (M) che continua a combattere la sua guerra contro polizia, milizie speciali (Greyhound), esercito.
Un libro del premio Nobel d’origine indiana Naipaul (Semi Magici) racconta la storia di un bollito indiano anglicizzato che torna in India e si mette a vagare nelle foreste con un gruppo di questi guerriglieri.
Secondo I dati ufficiali, oggi i maoisti controllano un corridoio di foreste e villaggi che va dai confini orientali del Nepal fino all’India centrale e il governo definisce il movimento “single biggest internal security challenge”
Questo corridoio è fatto di migliaia di villaggi e foreste dove l’India democratica non è mai arrivata e il potere è nella mani dei proprietari terrieri e di funzionari corrotti. I fattori che hanno portato al successo dei maoisti in Nepal (aumento del divario fra ricchi e poveri, corruzione, inefficienza del governo, centralismo, disinteresse verso le aree più povere) sono, in India, su scala continentale.
Negli ultimi mesi, l’intelligence indiana (fra i settori governativi più criticati dopo Mumbai) ha indicato i confini del Bihar con il Nepal come una delle aree più pericolose. Gli indiani hanno fatto, da sempre pressioni sul Nepal per controllare le moschee nelle aree di confine, proliferate negli ultimi anni, per limitare le molte organizzazioni musulmane caritative del Terai e hanno spesso compiuto operazioni di polizia contro delinquenza comune e politica fregandosene dei confini. Addirittura hanno preso possesso di alcune aree nelle regione orientali, oggi al centro di una disputa. Poi fanno sempre saltar fuori qualcosa per rinforzare le loro richieste di controlli. Nei giorni scorsi, un ex-militare indiano accusato di un attentato nel Maharastra, ha confessato, fra l’altro, che fu scritturato da Re Gyanendra (malvisto dagli indiani come tutta la dinastia) per formare un gruppo armato diretto a costituire uno stato Hindu in Nepal.
Insomma, per gli indiani, il piccolo e incasinato vicino è una altra fonte d’insicurezza che aumenta l’instabilità dell’intera regione