I giornali dell’Asia (India, Viet-nam, Thailandia, Nepal) hanno dedicato poca attenzione al processone di Phnom Penh ai residui Khmer Rouge. Questo conferma lo scarso interesse giuridico per la messinscena. Ma appena iniziato il carozzone ha iniziato a piangere miseria. L’evanescente portavoce della Corte, una delle tre, (vedi foto), ha gridato al rischio bancarotta e all’impossibilità di pagare i numerosi funzionari che gravitano attorno alla struttura. According to the court’s revised 2005
budget, the court needs an additional US$44.1 million on top of an original estimate of $56.3 million to see the court through to the end of 2009. Ricordiamo che la Corte è già costata USD 62 milioni. Per adesso grandi schermaglie procedurali.
Soldi buttati nella spazzatura in un paese in cui il 40% della popolazione vive con USD 1 al giorno e che s’aggiungono ai molti sprecati dall’industria dell’assistenza, fra l’altro, nella sanità e nell’educazione (come vedremo in prossimi post). Nella combutta, storica, fra governo e donatori s’inserisce la durissima denuncia dell’organizzazione Global Witness di Londra in cui si accusa le elites politiche, legate al Primo Ministro Hun Sen, di accappararsi le sostanziose royalties pagate dalle multinazionali che stanno sfruttando le risorse naturali del paese (una delle cause della scacciata dei contadini dalle loro terre). Il denaro proveniente da petrolio, carbone, gas naturale, legname è sparito e spartito “behind closed doors “ alla faccia del futuro sviluppo del paese e dei bisogni fondamentali della popolazione. Tutto ciò mentre i donatori internazionali (USD 1 milione nel 2009) si divertono nei baretti della capitale (dico io) e chiudono gli occhi di fronte a widespread corruption, mismanagement and nepotism (dice Global Witness). Più di 75 compagnie, incluse Chevron, BHP Billiton PLC, stanno sfruttando le risorse del paese e hanno pagato milioni di dollari al governo. Nessuno sa quanto, precisamente, e dove sono finiti questi soldi.
Nel 2007 Transparency International ha collocato la Cambogia al numero 162 su 179 paesi per livello di corruzione. Può essere che Global Witness ce l’abbia con Hun Sen che li scacciò dalla Cambogia nel 2007 dopo un ‘altro durissimo rapporto sulla corruzione ma, in effetti, si nota che per i comuni cittadini i bisogni fondamentali che lo stato dovrebbe fornire sono assenti, anzi peggiorano. Nel sistema sanitario si prevede la privatizzazione delle strutture pubbliche e il resto è affidato a contractors (spesso ONG) che forniscono servizi scadenti o inesistenti (come vedremo in un prossimo post). Il sistema educativo non decolla, malgrado i milioni di dollari iniettati dai donatori, tant’è che da ultimi rapporti emerge che, a causa della crisi e delle spese indirette per l’educazione, sta aumentando il numero di drop-out (abbandoni scolastici), specie nei villaggi e fra le bambine. Insomma, il rapporto di Global Witness, denuncia che l’intenso sfruttamento delle risorse naturali non sembra destinato ad assicurare un futuro per il paese. Il Governo, chiaramente smentisce e dà vaghe assicurazioni. Hun Sen non si tira indietro e attacca, a testa bassa, l’industria dell’assistenza già definita “just long term tourist” che attaccano il governo per attirare donatori. Allarga il tiro, accusando i “long noses” (occidentali) di dare consigli non richiesti e di scaricare sui paesi poveri costanti accuse di corruzione, dimenticando che il loro malgoverno ha generato il disastro economico mondiale che tutti stiamo pagando.
Torna alla carica con la legge del 2006, legittima anche se discutibile, per regolarizzare le oltre 2000 NGOs presenti in Cambogia, richiedere reports e conti. Ci fu una sommossa dei soggetti (lo stesso avvenne in Nepal nel 2005). Lo slogan, ben visto dalla gente comune, fu che stava per finire il “paradiso per le ONG e i loro dirigenti” e rifletteva una realtà, segnalata dalla stessa Action Aid che stimò, nel 2005, che il monte salari degli oltre 700 funzionari espatriati che vagavano per la Cambogia era identico a quello usato per stipendiare 160.000 funzionari pubbblici. Cose note e già segnalate da Sophal Ear, nel suo libro The Political Economy of Cambodia, Aid and Governance, che aggiunge che le ONG gestiscono un mucchio di business (dai baretti, ristoranti, negozi di abbigliamento e artigianato fino a strutture sanitarie e scolastiche) It’s all a business and this is just another way to avoid taxes, mantenere apparati e garantire prebende e soldi agli appartenenti alla casta politica (qui chiamata okhnas). Per adesso regole poche anche perchè l’interesse, come ovunque, lega i burocrati delle ONG stranieri a quelli locali, di norma parenti e amici dei politici e dei potenti.
Anche gli italiani non se la passano male, abbiamo segnalato, in un post precedente che CCS Italia (una ONLUS italiana che opera dal 2006 in Cambogia) ha speso nel 2008 euro 115.000 di struttura (case, macchine, stipendi) su euro 215.000 raccolti per i bambini fra i sostenitori italiani.