Una ragazza di 18 anni rapita e uccisa a Bungamati (ai margini di Kathmandu, dove risiede l’attualmente venerato e vagante Rato Machendranath). I suoi compagni di scuola che protestano a Kalimati perché siano catturati i delinquenti che hanno fatto a pezzi la giovane Khyati Shestra, arrivata da Biratngar per studiare e lavorare nella capitale. Non è il primo caso di quelli che sono chiamati rapimenti random, in cui i rapitori chiedono il riscatto dopo aver ucciso la vittima. Un brutto segno che conferma disperazione e rottura di sistemi sociali e culturali.
A Baglung, nell’estremo ovest, sono scoppiati violenti disordini a seguito di un matrimonio fra un Dalit e un membro di una casta più elevata. Due persone sono state linciate a Bara (nel Terai centrale) perché accusate di aver ucciso un esponente maoista.
Intanto non piove e si ritarda la semina del riso con inevitabili conseguenze negative sui prossimi raccolti; l’alta temperatura e la mancanza d’acqua rischiano di ridurli del 30-40% con gravi conseguenze sulle scorte alimentari delle famiglie. Nell’estremo ovest (distretto di Achham) già si parla di carestia come preannunciato da tutti (comprese le varie cocche delle NU) da mesi, senza però che dopo gli annunci seguissero i fatti.
Kathmandu è perennemente sconquassata: dai maoisti che, nei giorni scorsi, hanno bloccato gli uffici pubblici, vandalizzato qualche sede degli oppositori. Nel distretto di Dhading gli scontri fra partiti hanno obbligato al coprifuoco. Dai nazionalisti che hanno accolto con bandiere nere il potente emissario del governo indiano Menon, salito a Kathmandu per cercare di convincere i partiti sostenuti (Madhesi, Congresso e UML) a mettersi d’accordo. Impresa difficile ma necessaria per porre le minime basi per rimettere ordine ai confini. Tanto più isto che i maoisti indiani hanno ripreso l’offensiva (11 morti nell’India centrale) e che, addirittura, in Bhutan sono comparsi gruppi armati che si richiamano al vecchio e in disuso (almeno in Cina) Gran Timoniere.
Fra i nazionalisti arrestati (e malmenati) il regista Manoj Pundit, autore del documentario Greater Nepal: In Quest Of Boundary in cui addirittura chiede di ripristinare gli antichi confine del Grande Nepal (prima dell’accordo del 1876 con l’ Impero inglese a Segauli) e che includevano Darjeeling e il Sikkim.
Insomma il solito casino che tende ad aumentare dopo che in 1 mese il governo non è stato neanche in grado di definire i propri ministri, figuriamoci di prendere qualche decisione a beneficio del paese. Nella logica del non c’è mai peggio, qualcuno inizia a rimpiangere i maoisti di Prachanda e a preoccuparsi di una ripresa, in forme diverse, del conflitto.
L’arresto di Manoj introduce, però, qualche avvenimento interessante. Sta girando per il Nepal (145 proiezioni in tutti i distretti) il film Frames of War (visto da decine di migliaia di persone) che racconta in 45 minuti la storia di sette famiglie schiacciate dalle opposte fazioni durante il conflitto civile e il desiderio del paese di chiudere definitivamente quel capitolo durato dieci anni di morti, torture sparizioni e violenze . The testimonies we gathered, the emotions expressed were so raw and so powerful that we felt we have to document them, racconta Kunda Dixit (lo Scalfari del Nepal) e dal suo giro per il paese segnala con preoccupazione “More worryingly, we saw rising ethnic friction. Class war seems to have been replaced by growing ethnic and communal violence.” I registi sono Prem BK and Kesang Tseten.
Si raccontano tragedie non risolte, sfruttate e dimenticate anche nella mostra fotografica aperta a Bhrikuti Mandap Exhibition Hall. Qui 90 fotografi di tutti i paesi hanno portato tristi testimonianze dei disperati del mondo: i milioni di rifugiati Pakistani dell’Afghanistan, dal campo profughi di Mugunda in Congo. Un po’ di speranza la racconta un fotografo nepalese nelle sue foto sui profughi buthanesi As a photographer, I toured the camps in search of sadness but found hope. I searched for photogenic miseries but found bright eyes and easy smiles I searched for fatalism but found a vibrant community.
Un respiro.
ULTIMAMENTE HO SEMPRE PAURA A LEGGERE IL TUO BLOG.LE NOTIZIE CHE GIUNGONO DALLE “PORTE DEL CIELO” SONO SEMPRE MOLTO DURE DA DIGERIRE.CAPISCO IL MIO AMICO PEPPE A RICORDARMI SPESSO CHE LUI 25 ANNI FA E’ STATO IN UN ALTRO NEPAL.SEI SEMPRE MOLTO CHIARO NEI TUOI ARTICOLI,POSSO CHIEDERTI IN PIU’ SE SI VEDONO OCCIDENTALI IN GIRO,SE A UN TURISTA TUTTO CIO E’ VISIBILE E SE C’E’ ANCORA, SECONDO TE, SICUREZZA,VISTO CHE DESIDEREREI RITORNARE A KATHMANDU IN NOVEMBRE.GRAZIE DI TUTTO,BUON TUTTO.NAMASTE’.
Ciao Luca
purtroppo le notizie non sono belle, ma come vedi si cerca di trovare qualche respiro. Il turismo è cresciuto negli ultimi mesi (pur considerando che era calato drammaticamente negli anni scorsi). Aprile, maggio (+ 9% di turisti occidentali) sono stati mesi discreti, malgrado il calo complessivo del 5% dovuto ai turisti indiani. La gente girava per Thamel si faceva qualceh trekking, andava in Tibet (quando finalmente è stato riaperto). Adesso sono stagioni basse e quindi non c’è molta gente. Novembre è bellissimo e, se non succedono gravi casini non previsti, gli occidentali che stanno o viaggiano in Nepal sono al sicuro. L’unico pericolo è rimanere bloccati da qualche parte per scioperi improvvisi. Questa è la situazione, almeno per adesso.
Ciao Enrico,
La storia di Khyati ha scosso tutti, ance la comunita di espatriati nepalesi. Mi han detto che storie del genere (ho sentito che e’ stata uccisa dal suo insegnante e fatta a pezzi) non si sono mai sentite in nepal, non so come era 10 o 20 anni fa ma ho sentito che la criminalita’ era bassa e la gente lasciava la porta di casa aperta giorno e notte.
I nepalesi all’ estero sono tutti preoccupati perche’ temono che qualcuno a loro caro venga rapito o ucciso (e sta gia’ succedendo).
Ogni volta che incontro amici nepalesi o tibetani con parenti in nepal si parla sempre di come la criminalita’ stia rovinando il paese.
Mi chiedo se e c ome questa situazione si risolvera’? Per ora chi puo’ cerca di mandare i propri ragazzi all’estero prima che gl isucceda qualcosa.
Ciao Maria
sì, aumenta la paranoia e diminuisce la presenza fisica e morale dello stato. Negli anni si sono persi tanti valori che facevano bello il Nepal e la sua gente. Da anni chi può fugge o (chi può) fà fuggire i propri cari. Si prevedono tempi lunghi e ancora tanta sofferenza prima che il paese riprenda un percorso. Intanto, come da sempre, la gente muore di diarrea nel Terai (+ di 80 casi). Niente sembra cambiare malgrado basterebbe intervenire (magari un pò prima) con qualche bustina di oral rehydratation solutions (ORS), in pratica sali minerali, costo qualche centesimo di euro. Diciamolo alle ONG e alle Nazioni Unite.