Il 60% della popolazione mondiale non ha accesso alla corrente elettrica, in Nepal dove questa arriva manca per 16-9 ore al giorno; in altri paesi dell’Asia (Vietnam, Bangladesh, Cambodia, Philippines, Myanmar) vi è un gap fra domanda e offerta del 30%. Quindi ecco i blackout, come quello famoso in India durato 24 ore, ma almeno altri 14 minori negli ultimi 6 mesi. Parte dell’energia gestita dal Power Grid Corporation of India (PGCI) finisce in Nepal (70 milioni di KWh annui con picchi durante la stagione pre-monsonica), comprata a Rs 7.21 e venduta sottocosto con una perdita di Nrs. 0.7 (giugno 2012).
La domanda d’energia raddoppierà in Asia nei prossimi 10 anni, serve per irrigare (una delle ragioni del blackout indiano fu proprio il ritardo del monsone e l’aumento dei consumi agricoli) , estrarre acqua per bere, produrre, accendere i condizionatori, far salire gli ascensori nei nuovi palazzoni, far funzionare i semafori per evitare gli abituali incasinamenti. Per i poveri, comprare un generatore (quando si trova il cherosene) o un accumulatore rappresenta il guadagno di 1 anno. Per gli altri vivere e produrre è veramente una sfida. Gran parte del continente è, inoltre, ancora fuori dai grid nazionali e si presume che i villaggi dell’India, del Nepal e della Cambogia vorranno avere l’elettricità per vivere meglio e avere qualche opportunità di sviluppo.
In Nepal solo il 40% della popolazione ha accesso al grid nazionale e la produzione d’energia è ancora dominata dal legno (60%), scarti agricoli e animali(18%), carbone e cherosene (6%) e solo l’2% dalla produzione d’energia elettrica. Situazione simile in gran parte del Sub-continente. Servono grossi investimenti per colmare questo gap, stimati in oltre usd 4 trilioni Il Nepal (oggi importatore d’energia) potrebbe essere uno dei grandi produttori, è calcolato che solo 600 MW di potenziale idro è utilizzato contro i circa 50-60 mila disponibili.
Per creare energia , quando manca, si usano (nelle case, uffici, fabbriche, comunicazioni) i generatori che vanno a cherosene con costi alti, dipendenza dall’India (da cui arrivano tutti i prodottino petroliferi) e alto inquinamento.
Negli anni ’90 il governo nepalese chiese finanziamenti alla Banca Mondiale per costruire l’Arun III un grosso progetto idroelettrico ma gli furono rifiutati. Tentò allora di attirare capitali privati (indiani e marginalmente cinesi) ma si ottenne poco a causa dell’instabilità del paese e al costante mood anti-indiano (risollevato in questi giorni dal neonato partito dei duri maoisti) che portò al blocco di un gran numero di progetti. Uno di questi, nel Nepal occidentale, fu assalito dalla folla inferocita. Dove le cose si fanno, come nella Marsyangdi, per costruire la centrale sono serviti il doppio degli anni previsti (8 anni) e più del doppio dei soldi (da 130 a 233 milioni di euro). Il bottone che fece partire la centrale fu schiacciato dall’ora Primo Ministro maoista Pushpa Kamal Dahal che è stato uno dei responsabili dei ritardi nella costruzione, bloccando i lavori e chiedendo donazioni, durante gli anni del conflitto. Allora minacciava disastri e accusava i gestori del progetto di corruzione e non aveva tutti i torti perché il raddoppio delle spese è finito nelle tasche della nomenklatura nepalese (e non solo). Ormai però tutto è fatto, perché cercare i colpevoli e, come insegna l’antica scienza della politica italiana, oggi a me domani a te.
Nei periodi di alto load shedding aumentano le nascite, riferiscono gli ospedali cittadini e preannunciano un baby-boom quest’anno. Senza televisione, computers, telefonini, e videogiochi le coppie si avvicinano.
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E’ proprio di oggi la notizia che i giovani affiliati al Partito Maoista (CPN di Baydia) hanno organizzato una manifestazione contro i progetti idroelettrici gestiti da investitori stranieri (indiani). Alcuni degli ex-combattenti maoisti sono stati coinvolti e sono previste manifestazioni presso le centrali in costruzioni dell’Upper Karnali nonchè in altre aziende manifatturiere del Terai a gestiome mista.