Non era male trovarsi un piantone di marijuana per segnalare un buco nella strada; o recarsi alla Tribhuvan University passando fra piante fiorite, dove bastava staccare una cima. L’erba cresce spontanea in Nepal e anche a Kathmandu, prima che si riempisse di case, strade e macchine. Se poi si saliva in Dolpo si vedevano donne e bambini che raccoglievano la resina, sfregando le cime con le mani, producendo così il famoso nepalese nero, il cui colore derivava anche dalla poca pulizia dei raccoglitori. Più in giù, dove le colline si abbassavano, si coltivava l’oppio finanziato dalla mafia indiana.
Questa ingente produzione finiva a Kathmandu venduta al dettaglio e all’ingrosso nei negozi di Freak Street o Joche; nella Piazza dei Templi, fino all’inizio degli anni ’80 cuore del turismo freakkettone.
La città, come abbiamo visto in altri posts, si riempi’ di strafatti, trafficanti, spacciatori. Dall’hashish si passò al l’eroina e tanti giovani, anche nepalesi, morirono.
Nel 1976, il governo americano promise grossi finanziamenti al Nepal, in cambio doveva fermare questo mercato. Da allora l’uso e la coltivazione di droghe è teoricamente vietata. Ma nel Dolpo si continua a coltivare marijuana, a Parsa l’oppio. Solo nel primo semestre di quest’anno sono stati sequestrati 800 chili di hashish; il 45% dei carcerati a Birgunj (confini con l’India) sono per traffico di droga. Il
La decisione del 76 ha avuto effetti sul turismo, sulle tasse e sugli agricoltori che, in un paese non proprio ferreo nell’applicazione delle leggi, hanno continuato a produrre e a vendere ai grossisti. Si dice che una delle ragioni dell’incazzatura dei distretti del Nepal centro – occidentale dove fu più forte la guerriglia maoista, fu proprio la criminalizzazione delle colture di marijuana.
Negli anni ’70 il divieto del fumo favori il crescere dei prezzi a favore della malavita e lo spostamento su altre droghe come il “nepali cocktail” a base di medicinali scadenti.
Negli ultimi anni è un po ‘passata la moda delle canne, agli inizi degli anni ’80 sono stati deportati gli ultimi freakkettoni, ma gli ultimi locali nella Piazza dove si fumava liberamente hanno resistito fino agli inizi degli anni ’90. Anche oggi in alcuni locali il fumo è tollerato con parsimonia.
Oggi, sulla stampa e pur in presenza di priorità ben maggiori, s’inizia a discutere della fine del proibizionismo come accade anche in altri paesi.
Le ragioni sono sempre le stesse: bassa pericolosità rispetto ad altri consumi permessi, utilità in alcune terapie, fine dei traffici illegali.
“When one drug is banned, consumption of another drug may rise. And there is also corruption and criminality in the drug trade. The Government should rethink its policies on marijuana” dicono anche dirigenti della polizia.
Inoltre, si segnala, proprio del distretto di Parsa, dove già ai tempi dell’India Britannica si coltivava l’oppio e malgrado leggi e repressioni, sembra riprendere la coltivazione sotto la spinta della criminalità organizzata indiana. Coltivazioni che rischiano di espandersi, per convenienza economica, anche alle colline. L’ area di Parsa è anche una delle sedi delle più violente contestazioni alla proposta federale prevista dalla nuova costituzione.
Concentrarsi su questo e liberalizzare l’innocua marijuana è la strada suggerita da molti.
Questo post mi piace particolarmente, perché mostra una volta in più che impatti terribili possa avere una politica sbagliata.
Personalmente, sono da tempo convinto che si debba procedere ad una liberalizzazione delle droghe leggere e credo che superare il “paradigma” della guerra alla droga potrebbe produrre importanti benefici per molti paesi, primi fra tutti molti fra quelli cosiddetti “in via di sviluppo”. Per ragioni culturali ed economiche.