Parlo con Raj, vive giù nel Terai, in un villaggione nel distretto di Kanchapur dove sono morti 2 manifestanti pochi giorni fa. Studia, scrive, ora non può venire a Kathmandu perchè non c’è benzina e i bus sono bloccati (a volte con la violenza) dai manifestanti. E’ un giovane madeshi, un po’ incazzato con la capitale ma anche con i leader dei partiti che gestiscono la rivolta. “Si sono svegliati ora quando hanno perso potere” mi dice.
Cerchiamo di capire cosa succede là sotto e perché, da 100 giorni, la gente protesta e blocca frontiere e trasporti. Il governo nepalese non è in grado di gestire la situazione, di dialogare con i rivoltosi; i politicanti Madhesi sfruttano la situazione, l’India esercita la sua influenza da superpotenza.
Falliti gli ultimi incontri per trovare un punto comune per cambiare la nuova costituzione, finite le feste, sono ripresi sempre più violenti gli scontri nel Terai fra polizia e Madhesi. Sono ormai 100 i giorni (come ricordano i social, le manifestazioni di solidarietà verso i protestatari ( anche a Kathmandu con il movimento KTM with Madhes) e chi soffre per mancanza di tutto. Giù nel sud le scuole non riaprono, spesso non si può circolare neanche con il risciò, pena bastonate e incendio del mezzo. Le fabbriche sono ferme, il PIL crolla, la ricostruzione delle zone terremotate non esiste, la gente brucia il legno (pezzi delle case terremotate) per scaldarsi e cucinare, gli ospedali sono senza luce e medicinali. Una crisi umanitaria, (come direbbero quelli del’industria del’assistenza) di cui nessuno parla se non gli stessi nepalesi che protestano nelle capitali mondiali.
Saptari, Lahan, Rajbirai, Bhardah, Birgunj (da dove passa il 70% del traffico con l’India), Kanchapur, Mahottari, Biratnagar sono fra i posti (fuori da ogni giro turistico) centro degli scontri e delle vittime (oltre 50) in una spirale di violenza alimentata da polizia e rivoltosi in cui si sviluppa il pericolo di una secessione fra colline e pianura, cresce il risentimento fra la gente dele colline e quella delle pianure e il sentimento antindiano. Tutti elementi negativi per rimettere in moto il paese.
Ora mi dice Raj, lo scontro si è spostato sulla Mahendra Highway, lo stradone che collega il Nepal da est a ovest (oltre che sui blocchi dei principali posti di confine). L’obiettivo dei Madhesi è bloccare ogni trasporto (dai punti di frontiera orientali qualche centinaio di trucks con petrolio, medicinali e cibo è entrato nei giorni scorsi) compresi i bus, scortati dalla polizia. Agli attacchi le forze dell’ordine rispondono con violenza in cui finiscono, come sempre anche innocenti, 4 morti e decine di feriti nella notte del 22 novembre.
La gente è invitata a bloccare la strada (rajmarg bharu è lo slogan) e a donare 20 rupie (0,20 euro) e un chilo di riso per sostenere la protesta. Nelle strade scendono i giovani di tutte le caste, provengono da villaggi sprofondati nelle pianure dove anche studiare non porta speranze e la ricca e potente Kathmandu è percepita come un nemico, distante e indifferente. Quando la polizia decide di liberare la strada interviene con violenza, racconta Raj, picchia indiscriminatamente con i lathi (bastoni di bambu); la gente risponde con pietre e bottiglie, brucia uffici della polizia, che, qualche volte quando s’impaurisce, spara come è successo a Saptari nei giorni scorsi.
Lui pensa che quello che fa più incazzare le persone sia la percezione (in parte confermata dalla nuova costituzione) di essere considerati cittadini di seconda classe (come altre etnie del sud: Tharu, Janajatis), di essere il granaio del Nepal ma di non vedere benefici dalla loro produzione; i soldi rimangono lassù, fra le colline, spartiti dai burocrati. Proteste durissime sono già avvenute nel 2009, 2008 e 2007.
Quando finì nel 2006 la guerra civile i partiti madhesi erano decisivi per formare ogni governo. Il Sadbhavana party e il United Democratic Madhesi Front nelle prime elezioni costituenti ottennero 84 seggi su 600. I tre grandi partiti (Congresso, UML e maoisti) che hanno governato (a volte insieme) per avere l’appoggio dei madhesi promisero autonomia e potere al Terai con la nuova costituzione. Per assicurarli elessero un presidente e vice presidente madhesi.(cambiati da una settimana) . La spartizione dei posti a livello centrale provocò una ridda di divisione fra i partiti del Terai che ora sono diventati 12 e , nelle ultime elezioni (2013) raccolsero solo 60 seggi. Questa nuova Andolan è anche un modo per riacquistare visibilità e potere sul territorio.
I leader dei partiti Madhesi (gran paraculi), strumentalizzano e amplificano il malcontento reale e generale ma che si è focalizzato su tre punti della nuova costituzione , indigesti anche a Raj (madhesi incazzato in buona fede). La costituzione è stata votata a larghissima maggioranza ma con l’opposizione, inascoltata dei partiti Madhesi.
I Madeshi hanno accettato due province nel sud anziché una come avevano richiesto ma chiedono un allargamento a tre distretti (Sunsari, Morang e Jhapa a est) e due a ovest (Kanchapur e Kailali). Il problema è che questa ipotesi rischia di aprire una marea di contenziosi da parte di altri gruppi etnici (Limbu, Tamang, Kirati) che protesterebbero per avere province omogenee. E’ di oggi la notizia di scontri fra attivisti del Chure Bhawar (gruppo formato all’inizio del 2007, quando gruppi di Madhesi uccisero residenti nel Terai provenienti dale colline- Pahades) e del Samyukta Loktrantik Madhesi Morcha sullo stradone a Sarlahi.
Altra questione il sistema elettorale che riduce la quota di eletti proporzionalmente, quindi il Terai che raggruppa il 51% della popolazione avrebbe solo 62 seggi (oggi 83).Nella costituzione si tiene conto di“population and geography” per non penalizzare la rappresentanza di distretti di montagna, poco popolati.
Più emotiva e sentita è la questione della cittadinanza, molti abitanti sono di origine indiana del Bihar e dell’Uttar Pradesh che hanno sposato donne nepalesi diventando “naturalised nepali citizens”. Nella nuova costituzione vi è una norma discriminatoria: i figli di un nepalese sposato con una straniera sono “nepali by descent” in caso opposto sono “naturalised”, in questo caso è loro impedito accedere ai post più importanti nell’amministrazione statale. Il problema è stato sollevato anche dalle associazioni per i diritti femminili in quanto considerato una norma discriminatoria che viola il principio di base dell’uguaglianza stabilito nella nuova costituzione.
A livello emotivo, spiega Raj, tutto si radicalizza confermando che chi abita nel sud è discriminato e considerato uno sfigato. Gli indiani sostengono queste modifiche, dicono di lavorare per ristabilire “security and harmony” alle loro frontiere ma hanno ordinato ai loro doganieri di non cooperare per favorire i transiti. Non hanno sollevato, ancora, la questione dei diritti umani vilipesi dei cittadini del Terai a livello internazionale. Anche il Nepal non spinge sull’internazionalizzazione della crisi perché, seppur a singhiozzo, un po’ di merci entrano (e , dunque, parlare di blocco sarebbe improprio) e, in realtà, la polizia si è mossa con brutalità.
Purtroppo, conclude Raj, se il governo nepalese non si muove, ci sono tutti gli ingredienti per un movimento separatista violento (come è accaduto in Sri Lanka): nazionalismo etnico, minoranze discriminate, governo e polizia diretto da etnie diverse, connessioni interfrontaliere. Cioè un disastro.
Che si fermino i mezzi, per di più scortati, che trasportano beni di prima necessità è per me inconcepibile.
Interessante notare come di questa crisi nessuno in Europa parli, tutti troppo impegnati a piangersi addosso….
Da quel che capisco, la questione intreccia in sé elementi politici (promesse elettorali) e localistici (culturali, etnici)… se da un lato mi pare inaccettabile che una minoranza blocchi un processo costituzionale, dall’altra alcune rivendicazioni sembrano legittime, magari strumentalizzate.
Mi pare di capire che il dibattito verta su alcuni elementi di fondo del nuovo assetto costituzionale: delimitazione delle province, sistema elettorale. Ovviamente, in temi simili, l’obiettivo dovrebbe essere quello di essere quanto più inclusivi possibile… fino a che punto?
Più di tutto, trovo preoccupante l’insistenza sulla creazione di province etnicamente omogenee: per quanto possa nel breve termine rafforzare l’unità o evitare conflitti, nel lungo termine rischia di minare alla radice tutto il sistema istituzionale.
Certo è difficile che ora i cittadini se ne rendano conto…