Shivaratri: preghiere, offerte e canne

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Solita grande festa, la più spettacolare e incasinata, è la Notte di Shiva (Shiva Ratri) celebrata nella luna scura di Falgun (normalmente fine febbraio-marzo) quest’anno il 7 marzo. Il Pashupati Area Development Trust calcola in oltre 1 milione i fedeli e ben 6.000 i sadhu (gli asceti erranti della tradizione hinduista, sconvolti e quasi sempre incazzati) che riempiranno la Città Sacra.

Gente e Sadhu in fila come nei distributori di benzina e di gas, negli uffici per chiedere passaporti e carte d’identità o i documenti (irraggiungibili) per ricostruire la casa e ricevere contributi.

Il grande tempio che ospita il sacro Linga (simbolo fallico che rappresenta Shiva) e i ghats che accompagno le ceneri dei defunti verso il Ganga e purificano i viventi dai peccati accumulati, sono pieni di lumini, e di gente. Il Linga è stato coperto, ininterrottamente, di latte, riso, fiori, polvere rossa e dall’energia dei fedeli. Il Signore dell’Himalaya, dai capelli rastra, vestito da una pelle di tigre e armato di un tridente, danzò tutta la notte per la gioia di aver sposato la splendida Parvati. Altri dicono che in questa notte Shiva danzò il Tandava, la Danza della Distruzione. In questi giorni compaiono sulla collina migliaia di suoi devoti, i Sadhu, conciati allo stesso modo, sono sparsi sulla collina. Tutti li vogliono fotografare, nudi, cosparsi di latte, di cenere (per rappresentare l’uscita dalla materia), con pietre sollevate con il pene o serpentoni intorno al collo. Certi chiedono qualche rupia per le foto, altri diventano matti se sono fotografati e riempiono i fedeli di polvere dei defunti, l’inseguono con i forconi, li insultano. Girano tonnellate di ganja, litri di alcol e molti sono fuori di testa. Questa è la festa, da sempre.

I Sadhu raccontano : We are the soldiers of Shiva and like him we dissociate ourselves from worldly pleasures. The ash we spread on our bodies is our clothing. We take ganja and charas and remain in a trance just like our Lord Shiva, i capelli incrostati e attorcigliati rappresentano il caos che governa quest’epoca di Kali Yuga” Sempre c’è stato gran movimento in questa festa ma, un tempo, al centro vi era più la fede che non la voglia di far casino. Gli anziani cantavano e danzavano fino a che i fuochi con cui si riscaldavano non s’esaurivano, a Pashupatinath come in tutti i templi di Shiva in Nepal, scambiandosi piatti di dal bhaat, frittelle, coppe di chang (alcol fatto in casa). Le famiglia andavano al tempio con le offerte, dopo grandi mangiate con gli amici; i bambini  giravano per le case a raccogliere qualche soldo per le frittelle.

Oggi, i ragazzini nepalesi arrivano in gruppo, contando che, questa notte, tutto sia permesso: sconvolgersi di fumo e alcol, dare la caccia alle ragazze (che stanno alla larga dalla festa), rompere le palle ai Sadhu. Ogni tanto scoppia qualche rissone che vede coinvolti i santoni o i compagni delle ragazze (anche qualche occidentale). Mi diceva l’amica Nilima che “ci sono troppi sconvolti, non si può mai sapere cosa succede… ho paura ad andarci .” Tante famiglie se ne stanno casa o vanno a fare le devozioni alla mattina presto. Nella notte, oltre qualche grida dei molestati, sale l’eterno mantra Om Namah Shivaya, in onore del Dio della Distruzione, incaricato di rigenerare il mondo, rivoluzionarlo e, perciò, amato dalle caste più umili. Quest’anno, poi, ci sarà il grande Kumba Mela di Allahabad, dove ogni 12 anni vi è la grande corsa allo Yamuna e al Gange, per lavare i peccati di tutte le  vite. Obbligatorio è precederlo, per i shivaisti, con la visita a Pashupatinath. Alla mattina, i più sconvolti, dormono fra i templi con qualche scimmia che gli salta intorno. Ogni anno si cerca di quantificare le quintalate di hashish che girano e che sono in continuo aumento. Malgrado i divieti, dalle colline del Dolpo continua a scendere il nepalese nero, una delle qualità più pregiate e commercializzate. L’assenza dello stato, specie nei distretti di collina e montagna e le frontiere bucate con l’India favoriscono l commercio anche di altre sostanze come l’oppio.

Chiuse le coltivazioni del Terai (intorno a Bara nel 2008), storiche poiché impiantate originariamente dagli inglesi durante l’Impero, la coltivazione del papavero si è sviluppata nei distretti più occidentali (Rolpa, Rukum, Salyan). I contadini vendono un chilo per Nrs. 62.000 (euro 650) a trafficanti indiani che hanno visto diminuire il business dopo che in Uttar Pradesh, le autorità hanno stretto i controlli sulle coltivazioni di oppio per l’industria farmaceutica, dopo che si era scoperto che parte di questo diventava eroina.

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