Sono lì, tranquilli e fatalisti. Aspettando il monsone

jarcanda

Al ministero degli esteri, l’ambasciatore del Quatar ha regalato 9 mercedes al Nepal. Simbolo d’amicizia. Le chiavi le ha prese Kamal Thapa, leader del partito monarchico (adesso alleato con maoisti e comunisti UML) e già imprigionato nel 2006 per i casini fatti come ministro degli interni durante la dittatura del ex re- Gyanendra. Nessuno ha chiesto all’emiro qualche miglioramento delle condizioni contrattuali e salariali degli oltre 500.000 migranti nepalesi che lavorano laggiù. Li vediamo (quando si và su e giu per il Nepal), accalcati negli aeroporti, trattati come passeggeri di terza classe, senza assistenza per gli abituali ritardi. Portano a caso circa un terzo del PIL con le rimesse ma nessuno li protegge, quando lottano e faticano per USD 500 al mese nei cantieri e nei pozzi petroliferi.

Ma, del resto, anche i promessi aiuti per ricostruire case e scuole sono in ritardo. L’Autorità per la Ricostruzione ha iniziato una lenta distribuzione (circa 600 famiglie) ma gli sperati euro 2.500 per rimettere in salvo la casa non arriveranno prima del monsone.

Chi ha qualche soldo (appunto per parenti migranti) o raccolti dagli usurai ha iniziato i lavori, senza curarsi delle norme antisismiche annunciate dal governo e mai varate. In città ci sono ancora migliaia di persone nelle tende a Bhaktapur e Taragon. Non ci sono piani e progetti per ricostruire le parti danneggiate del centro storico e dei monumenti, come l’amato Kasthamandap. Si conta sulle donazioni e sugli interventi dei tedeschi a Bhaktapur (che già ristrutturarono la città negli anni ’70) e Changu, la Piazza conterà su cinesi e USA, a Boudha fanno già tutto i tibetani; altri siti importanti come Teku, e i tanti  templi di Bungamat, Kokana, Sankhu, ancora non si sa. Sono oltre 447 i monumenti danneggiati e 133 quelli crollati.

Quindi la situazione non è brillante. Nelle città sono aumentati gli affitti, tanta gente è stata allontanata dalle case pericolanti e i proprietari le ricostruiranno male e  con affitti più alti. Nei villaggi si passerà un altro monsone sotto le Yasta (onduline) dove sono arrivate. Le grandi organizzazioni internazionali hanno speso e le Nazioni Unite hanno speso in otto mesi  USD 240 milioni con risultati, scrive la stampa, deludenti. Quattro miliardi di dollari promessi per la ricostruzione attendono piani e procedure per il loro utilizzo.

Intanto il reddito procapite (fra i più bassi dell’Asia) è sceso da USD 766 a USD 775, con un inflazione che supera il 10%. Il divario fra ricchi e poveri è, esclusa la Cina, il più alto del continente.

Il blocco trimestrale delle frontiere indiane ha segato la crescita del paese ma non i redditi dei borsari neri che stanno ancora arricchendosi per lo shortage di benzina e gas. Le questioni con i Madhesi non sono ancora chiuse, il governo Oli (il top dell’inefficenza) sarà reimpastato, forse, con la guida del leader maximo maoista Prachanda e l’entrata del Congresso (ora capitanato dal condannato per corruzione Deuba) ed allora, probabilmente i casini riscoppieranno.

Le persone hanno ripulito strade e piazze dai detriti, le città antiche e i templi possono essere ancora vissuti, i turisti girano senza problemi. Ma permane un senso di precarietà nelle cose e nelle persone

 Eppure, sotto i primi diluvi che annunciano il monsone, la gente vive e sopravvive. Come sempre dopo 10 anni di guerriglia, due rivoluzioni, il crollo di una monarchia, milioni in cerca di fortuna all’estero, con la capitale invivibile per smog e traffico, con due terremoti e migliaia di piccole scosse che creano costante paura. Sono forti, pazzi, fatalisti, s’arrangiano. Rifioriscono sempre, come le jacarande che un tempo riempivano la Valle.

In molti villaggi, dopo il monsone debole dello scorso anno, sperano nei raccolti di riso e mais. Ma ci sono altri problemi  sorti con il post terremoto e il blocco: le foreste (in gran parte gestite dalle comunità)sono state taglieggiate per recuperare legno per cucinare e scaldarsi quando mancava gas e carburante. Adesso saranno ulteriormente tagliate per le costruzioni. Molte aree, come Kavre e Ramechap, hanno visto le sorgenti d’acqua chiudersi dopo la seconda scossa di terremoto e, adesso, manca l’acqua potabile in molti villaggi.

Nessuno ci pensa, nessuno ne parla né i burocrati dell’industria dell’assistenza né quelli del governo. Forse, come sempre, hanno altro di più divertente da fare.

La foto è di mia figlia Giulia (12 anni)

2 risposte a “Sono lì, tranquilli e fatalisti. Aspettando il monsone

  1. Ho l’impressione che la ricostruzione in Nepal stia procedendo secondo il modello citato da un prof: “leave it to us, we’ll do it for you”… Non esattamente il miglior modello di aiuto.

    A seguire gli sviluppi del governo, viene sempre meno speranza… specie pensando ai sacrifici che hanno affrontato durante la guerra civile con la speranza di una soluzione migliore (o, almeno, meno corrotta). Possibile che non vi siano vie d’uscita?

  2. Allo stato non sembra che ci sia un ipotesi di ricambio della classe dirigente. Il sistema è bloccato, si conta sui giovani che tanto hanno lavorato nel pos-terremoto.

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