Sembra strano parlare di mancanza d’acqua, adesso, quando ne arriva anche troppa per il monsone (80% del fabbisogno annuo per l’agricoltura). Però le piogge contribuiscono a far crescere mais e riso Ora in Nepal piove e l’acqua fa crescere mais e riso, i principali prodotti agricoli che compongono la base della dieta dei nepalesi. Può sembrare strano ma, dopo quasi 60 anni di progetti agricoli finanziati dalla comunità internazionale, il cibo dei nepalesi dipende ancora dalla clemenza del monsone e dalle preghiere fatte a Machendranath perché siano né troppe né poche.
La dipendenza dalle piogge, la parcellizzazione dei terreni (specie nelle colline), l’assenza di moderne tecniche agricole e di irrigazione e, nell’ultimo decennio, la migrazione rendono il Nepal in crescente dipendenza dalle importazioni di generi alimentari (crescita del 2% annuo medio negli ultimi 10 anni).
L’allagarsi delle aree costruite accresce il problema alimentare e ne somma un altro, quello della costante diminuzione di acqua potabile. In città, per l’alta urbanizzazione, il sistema idrico è al collasso; sia dal punto di vista degli approvvigionamento che dell’igiene. In molte aree della Valle (specie a sud), l’acqua bisogna comprarla e portala con le cisterne.
La situazione sta peggiorando anche nei villaggi dopo che il movimento delle faglie post-terremoto ha provocato la “parziale chiusura” di molte sorgenti naturali. Già prima insufficienti.
Secondo la Nepal Water Conservation Foundation 20 distretti, nelle colline e nel Terai, “reeling under the immense water shortage situation”. Si traduce in almeno 4,5 milioni di persone senza costante acqua potabile. In queste condizioni di scarsità la conservazione e l’utilizzo di acqua non potabile è causa della maggior parte delle malattie che colpiscono i nepalesi (intestinali, ameba, difterite, tifo, vermi, etc.). I più colpiti sono i nuovi nati e i bambini. Intanto, ogni anno si celebra il Water Day.
Negli anni passati Takecare Nepal (in collaborazione on l’ospedale di Dhulikel)ha fatto un analisi delle acque in 36 scuole del Timal e i risultati non sono stati incoraggianti. Si è quindi provveduto a creare un sistema di purificazione e controllo che adesso, purtroppo, non può più funzionare a causa della scarsità delle sorgenti.
Ironicamente, da Kathmandu (quando l’inquinamento cala) e dai villaggi si vedono i ghiacciai eterni dell’Himalaya, immense riserve d’acqua non sfruttate e sprecate.
Prima del terremoto, l’acqua raggiungeva alcune specie di fontane costruite nei vari wards (quartieri) dei villaggi attraverso pipeline di plastica. Chi poteva spendere qualche migliaio di rupie conservava l’acqua in grossi serbatoi neri, gran parte (anche allora scarsa) andava sprecata.
Adesso, donne e bambini con tanke di plastica e vecchi contenitori di metallo salgono sui sentieri ogni giorno per portare nella case l’acqua, presa direttamente e quando arriva dalle sorgenti. Si tiene nei catini e si usa per bere e cucinare.
Adesso piove e tutto è più facile (almeno per questo) ma da fine settembre, bisognerà attendere 10 mesi per rivedere l’acqua piovana in dosi massicce.
Una parziale soluzione secondo gli abitanti e Takecare Nepal è quella di costruire un grosso serbatoio interrato in cui conservare l’acqua delle sorgenti, controllare e purificare la qualità, distribuire l’acqua (tramite le pipeline e le fontane, in orari prestabiliti per evitare sprechi. Il costo stimato è di circa euro 28.000, le famiglie che ne usufruiranno 800. Chi vuole può collaborare.