Dal libro #IlMioNepal, un brano dello scritto di Fabrizio Torricielli, sul viaggio, il movimento.
La nostra storia, dunque, più che res gestae di qualche prepotente con elmo, spada e pennacchio, è storia di donne e di uomini che cercarono, che cercano, un luogo più ospitale, meno ostile, per generare e crescere i propri cuccioli.
Un esempio eloquente, caro a Robi Rubiolo, la popolazione che in seguito ebbe nome di Newari (nevāra). Provenivano, quelle donne e quegli uomini migranti, da luoghi e climi diversi. Diversissime le loro origini geografiche, parlavano idiomi radicalmente estranei: chi dialetti indoari, chi tibetobirmani. Non si conoscevano l’uno con l’altro, i loro sogni erano abitati da divinità differenti, ma avevano gli stessi bisogni. E lo sapevano: tutti avevano da crescere i loro cuccioli. Come onde del mare, erano giunti nei secoli quei migranti in una valle himālayana fertilissima, ricca di acque e benedetta da un clima temperato che, oggi, i turisti conoscono come la valle di Kathmandu e dei territori ad essa circostanti (nepāla maṇḍala). Le lingue e le culture d’origine gradualmente si amalgamarono. Contadini e artigiani abilissimi fusero le loro competenze e la loro arte adattandole al paesaggio che condividevano. Da tale fortunata ibridazione era nata una nuova civiltà, una nuova lingua, una nuova cultura: forse l’unica cultura che non abbia mai conosciuto guerre in nomine Domini Dei nostri, né persecuzioni culturali: a differenza, in particolare, delle storie umane che hanno martoriato i popoli limitrofi dell’India, del Tibet, della Cina e del poco più distante Iran… Chissà, ci piace pensare, forse è per questo che un uomo come il Buddha, il ‘risvegliato’ Śākyamuni, non potesse nascere che in Nepal.
Ogni migrazione umana implica un tragitto percorso o da percorrere; ogni trasferimento comporta una strada. Ogni ricerca di ulteriori occasioni di sopravvivenza come acqua potabile, cibo, selvaggina, terra fertile et cetera, implica l’esistenza di una pista, di un sentiero, di una traccia, di una strada per raggiungere tali risorse vitali: si tratta di un’esistenza che anzitutto domanda di essere concepita. Non intendiamo qui «strada» (street, strasse) come in latino via strata, ‘lastricata’, quindi via maestra, ma più filosoficamente come «via» (voie, way, weg), percorso, tragitto, cammino e così via. PH: Vishnumati 1976.
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