Nepal: aumentano gli aiuti internazionali e la povertà

Trattative policentriche per raggiungere un accordo che consenta, il 2 agosto, di dare un governo al Paese. Tutti sono per un esecutivo d’unità nazionale, comprese le ambasciate indiane e americane, che stanno svolgendo un impropria attività politica, ma non c’è accordo sulla leadership. Congresso e Maoisti permangono divisi ed è iniziato un forsennato corteggiamento ai partiti Madhesi (United Democratic Madhesi Front (UDMF) che vogliono l’autonomia della parte meridionale del Nepal, il Terai. Ipotesi attuale:  che gli 82 deputati autonomisti votino il candidato maoista, il governo avrebbe la maggioranza ma il paese si spaccherebbe sia a livello politico che etnico. Nel Terai la maggioranza degli abitanti, composta da altri gruppi etnici chiederebbe una miriadi di entità autonome (Limbu, Tharu, Kiranti, etc.) e inizierebbero casini senza fine.

Straziante instabilità che perdura da quattro anni (nei precedenti 12 il paese era in conflitto civile). Possiamo immaginare le condizioni delle istituzioni e dell’economia già descritta in altri posts. Di fatto il governo controlla a stento gran parte del paese, specie la cintura meridionale (Terai) ai confini con l’India. Oltre i problemi di sicurezza sociale, di applicazione delle leggi, un governo inesistente non riesce a dare vigore a politiche sociali, di riduzione della povertà. Di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Nei giorni scorsi il Primo Ministro dimissionario Nepal s’è recato a celebrare il centenario del più antico ospedale nepalese, il Bir Hospital, ospitato in un fatiscente palazzo Rana nel centro di Kathmandu. Nei giardini ormai svaniti languono decine di persone in attesa di un posto letto, altre chiedono soldi per comprare le medicine o pagarsi qualche cura. Nei villaggi è ancora peggio perché gli ospedali magari distano chilometri a piedi e gli Health Post non hanno niente, compresi i medici. Nel discorso il Primo Ministro ha fatto autocritica per le morti di diarrea dello scorso anno, ma il problema permane con l’inizio d’epidemie a Rukum, Nepalgunj, Baglung. Niente di nuovo sono millenni che questo accade.

Eppure, malgrado le scarse capacità di gestione generale dello stato nepalese, i donatori internazionali hanno raddoppiato, nell’ultimo anno, “grant and loan” al paese, gettando nel calderone la cifra record di 1 miliardo di euro (riferisce il Foreign Aid Department del Ministero delle Finanze). Questi fondi sono stati utilizzati al 86% per coprire le spese correnti del governo (27,45% dell’intero budget statale), pochi e solo nominali per sviluppare il paese sistema sanitario, infrastrutture, agricoltura, gestione delle acque, educazione, etc.). Infatti qualcuno si domanda che fine hanno fatto questi fondi data l’estrema fragilità dello stato. “Nepal has been unable to utilise foreign aid in the past few years” ha dichiarato Posh Raj Pandey che era membro della Commissione (Nepal Planning Commission-NPC) incaricata di programmare l’utilizzo degli aiuti internazionali. Quindi, se lo dice lui…

La domanda che si pongono in molti è: questo immenso flusso di denaro ha prodotto, grazie ai gestori locali e internazionali, significativi miglioramenti per la gente comune. Cioè, in sintesi, è diminuita la povertà causa di decine di danni collaterali (malattie, migrazione, emarginazione sociale, traffico di esseri umani, bassa scolarità, etc.). Risulterebbe di no anche se la sua quantificazione, come tante cose nella cooperazione internazionale, è fumosa. La Nepal Planning Commission tira acqua al suo mulino e dichiara che la “poverty has reduced considerably from 20034 level”, cioè loro hanno lavorato bene. A livello quantitativo hanno ragione, il reddito pro-capite è aumentato, ma se per comprare una carota costa il doppio di cinque anni fa il reddito reale s’è, in realtà, dimezzato. Ed è quello che è accaduto in Nepal (come in altri paesi poveri). Si stima che l’1% d’aumento dei prezzi dei generi alimentari (e in Nepal sono raddoppiati negli utlimi 5 anni) produce un aumento del 1,6% dei poveri fra i gruppi marginali. Tant’è che anche la World Bank ha aumentato il limite minimo della soglia di povertà portandolo da USD 1 a USD 1,5 al giorno.

Qualcuno (Oxford University) ha cercato di quantificare i trend di povertà utilizzando sistemi un po’ più raffinati (multidimensional approach) che prevedono la valutazione di una serie di indici (sanità, accesso all’acqua, proprietà, elettricità, etc). Queste stime dicono che la povertà non è affatto diminuita ma riguarda fra il 50 e il 60% dei nepalesi (indici Word Bank 55%-indici NPC 26%). Insomma butta male e si vede anche perché nessuno ha governato flussi e processi. Per esempio le rimesse degli emigranti (30% del PIL) hanno prodotto enormi diseguaglianze fra le persone e le aree urbane e rurali. Un recente rapporto della Banca Centrale nepalese racconta una realtà già vista. I soldi dei migranti finiscono, in buona parte, ai ricchi dei villaggi per pagare prestiti e mantenimento delle famiglie lasciate lì. I money lenders li investono nelle proprietà immobiliare di Kathmandu o di altri centri urbani. L’unica industria che tira. Governanti e cooperatori internazionali (che in Nepal, come in altri paesi poveri detengono grande potere) hanno fatto rendere poco i miliardi di euro (le nostre tasse) investiti nel paese. Non sorprende che la gente comune li consideri entrambi (politici e cooperanti) dei malfattori.

4 risposte a “Nepal: aumentano gli aiuti internazionali e la povertà

  1. Ciao
    quando si parla di lotta alla povertà sarebbe utile considerare che il traffico di bambini, donne, la malnutrizione infantile, le morti per parto sono causa di quella situazione. E quando s’investe nella cooperazione internazionale e connessi (salute, educazione, sviluppo) si trovebbe cercare d’investire le risorse (soldi) che sono sempre limitati al meglio. Tanto più che queste risorse limitate provengono dai tax payers (che spesso non sono i più ricchi dei paesi ricchi)e dovrebbero finire ai più poveri dei paesi poveri. Tu hai parlato di tanti sprechi e mal utilizzo dei fondi (in grande e in piccolo) tanti altri sono sparsi in giro per il mondo. Io volevo ricordarne uno clamoroso quello dell’influenza suina. Meno vittime dell’influenza normale (media ca. 250.000 morti all’anno; suina 17.483), grande battage pubblicitario, grandi guadagni per le case farmaceutiche, grande intrallazzo per i funzionari OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Costo 19 miliardi di dollari che divisi per ogni morto per la suina sono oltre 1 milone di dollari. Quanto si poteva fare per ridurre la povertà e salvare bambini?

  2. Sembra noto che gli attuali metodi praticati dalle organizzazioni internazionali provocano pochi benefici rispetto ai capitali investiti. Alcuni, come gli economisti R. Glen Hubbard and William Duggan (The Aid Trap, Columbia University Press), s’uniscono a molti altri descrivendo anche gli effetti negativi dell’aiuto intrenazionale malgestito per i paesi poveri. Nel libro descrivono come per uscire dalla povertà, in base all’esperienza secolare di altri paesi e attuale di Cina e India, non serve sussidiare governi inefficienti con flussi d’aiuti ma aprire le economie. Citano il Mozambico in cui servono 300 giorni e decine di permessi per aprire un azienda, raccontano della corruzione e mancanza d’iniziativa che blocca i governanti foraggiati dagli aiuti internazionali. Storie che chiunque abbia lavorato nel settore o vissuto nei paesi più aiutati hja constato di persona. Per cui la povertà non diminuisce se non dove l’economia, con i suoi limiti, si muove da sola.

  3. Delurko per ringraziare Enrico Crespi per i sempre puntuali post sul Nepal, anche grazie ai quali mantengo il contatto con un paese amato.
    @ Serena
    dando per assodato il fatto che gli sprechi e la maladistribuzione delle risorse sono tipici dell’OMS e di altre agenzie internazionali, l’esempio suina mi pare non molto calzante. Il tuo ragionamento funzionerebbe solo se:
    1. potessimo comparare i dati sulla mortalità delle stagionali e quelli della suina, ma non possiamo perché sono derivati da calcoli differenti (in un caso una stima nel secondo un conteggio). La mortalità pediatrica sembra essere stata più elevata per la suina
    2.potessimo prevedere l’andamento di una pandemia. Non possiamo, per cui la linea di riduzione del rischio è di considerare lo scenario possibile peggiore, che nel caso della suina era molto pesante, e prepararsi. Il fatto che poi la pandemia sia risultata non così pericolosa è una buona notizia.

    Sarebbe il caso di separare il giudizio sulla moralità o meno delle case farmaceutiche dal giudizio sul rischio delle pandemie

  4. Ciao Marco hai ragione e ti ringrazio per il commento e le precisazioni. E’ giusto valutare i rischi di una possibile epidemia (come di ogni altra catastrofe umanitaria o intervento) ma il problema è che sembra che certe situazioni siano gestite non tanto per ridurre i riswchi e i disagi ma per farci un business. Nel 2010, per esempio, i bilanci della organizzaioni internazionali (ONLUS comprese) sono stati salvati dal terremoto di Haiti, ma gran parte dei fondi raccolti sono finiti sprecati o utilizzati per il mantenimento delle strutture delle organizzazioni stesse. Costi sovradimensionati non più sostenuti dalle entrate ordinarie.

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